Microfono Aperto è un’esperienza nata nel 2014. All’interno del Palasole di Bellano, in occasione di Piccoli Editori in Fiera, una lunga mattina dedicata alla poesia, in cui ognuno può leggere al pubblico le proprie opere. Per giovani e adulti.

Vi facciamo leggere le poesie partecipanti!

Aurora Colombo

Il tuo volto nel vento 

In mezzo ai fiori ho scorto il fiore più bello.

Era una bambina.

Era piccola e minuta con lunghi capelli bruni.

Il vento le soffiava gentile sul viso;

la bambina coglieva i gigli e li teneva in mano,

era un fiore circondato da fiori.

Poi si voltò, il vento era finito…

L’ ho vista in volto…

Eri tu, nonna, che fiorivi nel vento.

Piccolo cuore in tempesta 

Ferita, sola

Chiudo gli occhi

Sento il mio cuore

Battere piano…

E poi riempirsi

Come mare in tempesta

Le onde si infrangono

Schiacciano il mio piccolo cuore

Piccolo cuore in tempesta.

E salgono sempre di più

Si riempie,

straborda

ed è allora che, per non annegare,

scendi

piccola lacrima solitaria…

piccola goccia di mare…

Me stessa 

Silenziosa, timida, solitaria

Asociale

Spensierata, felice, allegra

Pazza

Triste, malinconica, nostalgica

Depressa

Loquace, socievole, aperta

Fastidiosa

Diversa, ribelle, libera

Sbagliata.

Asociale, pazza, depressa, fastidiosa, sbagliata

Me stessa.

Barbarah Guglielamana 

Ci guardavano le rose 

Erano giorni sottili

stesi sul filo della biancheria mossa da un invisibile dio dell’acqua

con le luci che ingannavano i sensi

e i panni, che si alleggerivano al passare delle ore.

Le nostre bocche fiorivano baci.

Sono andata via

Sono andata via

Suonando i miei piedi sui fili d’erba

svolazzanti al vento, ondeggiati dal temporale

Prima di quel temporale che ti slava i sentimenti,

che ti svuota l’animo

puro o sporco che sia

E che te lo alleggerisce del suo vuoto.

Non sapevi che non mi avresti trovata,

non mi facevo cercare, tutto qua.

Andavo per nuvole e onde

fatuamente

con un destino di aria in mano,

e ancora con il vento che se lo giocava

Le papere scivolavano

sul letto freddo del fiume,

al caldo nelle loro piume dipinte

In quello scivolio sembravano angeli

di un cielo minore

Immortali di stagione

Ognuno di noi ha sentito il sale,

ma sulle sue labbra

la screpolatura è stata inumidita dal bacio

di un temporale di terra,

almeno una volta.

Avevi da dirmi questo.

Luigi Maffezzoli

Eocene

Cinquanta milioni di anni fa

barriera corallina a due passi da Verona

pesci tropicali, sulle rive

mammiferi predatori.

Ora tutto è rimasto

in un grande libro di pietra

bambini con un martellino

cercano la vita dentro a un sasso.

Cosa nascondi ancora nel tuo cuore?

La montagna parla raramente

guarda con distacco

cosa resterà di questo tempo?

Cosa resterà di noi?

I governanti d’Europa

annunciano nuove misure

gradiscono le borse

catastrofi rinviate.

Coccodrilli riposano in attesa di prede

sotto un vulcano che si sta svegliando

ad ovest delle Dolomiti

più in alto un’aquila reale

guarda incuriosita

strani esseri a due zampe

che arrivano da sud.

La montagna non parla spesso

il suo cuore è troppo nel profondo

perché si possa aprire e rivelare

la lava scenderà come un fiume avvelenato

coprirà palme e animali inconsapevoli

a due passi da Verona…

La trasmissione s’interrompe

è l’ora della borsa.

Cosa resterà di questo tempo?

Cosa resterà…

Non ho navigato i sette mari 

Non ho navigato i sette mari

qualche avventura sulla barca di mio padre

goffo ai remi, con poca energia

lui alla vela

nobile come Sandokan

lasciavamo il porto

puntando alla punta del Santo

e alle sirene

mai un naufragio per la sua abilità.

Ora son qua che scrivo in una tarda mattinata

d’estate senza novità

la barca nobile affondata da tempo

quel che non potè il lago lo fece la burocrazia

il vecchio canta

da tempo non pensa più alla vela

e al giro della baia

là dove il lago diventa oceano

la sua vita la passò in città

ma i geni dell’uomo di lago

dentro di lui non si erano assopiti.

Canterà ancora a lungo, almeno spero

ci mette più di un’ora a fare il giro del paese

appoggiato al suo remo di terra

non arriva fino al porto

nessuna barca ad aspettare

solo l’incontro con qualche vecchio compare

con cui confrontare la vecchiezza

poi torna e non si allontanerà da casa

per lungo tempo

e i sette mari

non li ha conosciuti

ma ha pescato trote

tra la punta del santo

e la baia dei misteri

quando era ancora un marinaio

non ci pensa, canta

canzoni prese dal fondo più profondo

di una lunga memoria

che altro?

Presto il tramonto diventerà notte

canta una canzone così vecchia

che per tutti è nuova

ascolta con meraviglia il giovane nipote

per un momento

poi riprende i giochi

col telefonino.

Queste parole 

Che sono queste parole

troppo normali per accreditarsi poetiche

troppo ingenue per dotti e filosofi

che sono

mentre ci navigo dentro

o forse ci annaspo

cercando un senso che sfugge oltre ogni scoglio raggiunto

che lascia i suoi segni di rughe

e ti dice

«È solo il tuo tempo

che passa.»

Che sono queste parole

senza neanche un po’ di musica a darle colore

così tristi e con così voglia di vita

mentre ci affogo dentro

gli anni passati

non cambieranno il futuro

non saranno maestri

dalla finestrella filtra un raggio ancora bambino

di primavera ormai stanca d’attesa

sgorgano le parole e prendono il sopravvento

le lascio fluttuare le ascolto scrivendole

al loro servizio

l’ultima è più incerta

resto solo

a guardarle.

Marina Belotti

Amore indissolubile

Nello specchio ammiri

Il fiato dei tuoi respiri,

Il fine d’ogni tua pulsione,

Il senso d’ogni tua azione,

La direzione d’ogni tua orma:

Passato, presente e futuro prendon forma.

Sorretti in questo cammino, vicini come due amanti,

I tuoi occhi guardano avanti:

La superficie dello specchio svela

Che da due anime una sola trapela.

Compagno di vita

Il suo profumo mi sconvolge i sensi

Il dorso eretto trasuda segreti immensi

Le cellule del mio corpo si fanno sue schiave

Dalla coperta a cui è avvolto mi getta la chiave

E’ un invito seducente, non mi tiro indietro

Lo guardo e mi specchio in un candido vetro

Toccandolo odo il seme da cui il suo esser germoglia

E un custode d’altri tempi accontenta la mia voglia

Sfoglio la sua pelle intonsa e ne sfioro il lembo

Di creatura desiderata da chi l’ebbe in grembo.

Con l’ingenua infanzia accumulò errori

Corretti in gioventù da esperti educatori

Acquisendo nuove vesti uscì dalla pubertà

E per un rito di passaggio entrò in società

Ora è davanti a me, vigoroso nell’età matura,

Mi prende per mano e io cedo all’avventura:

E’ un viaggio inaspettato, parto senza valige,

Ma troppo è il fascino che rimanda la sua effige

Modellata da ogni ramo che prese parte

All’armonia assoluta di un’opera d’arte

Da cento strumenti nacque un sol concerto

Il cui Amore narro a “Microfono Aperto”:

E’ la muta felicità che ricevo dal mio uomo,

Che sia esso un romanzo, un saggio, un tomo.

L’attesa 

L’attesa è il viaggio, non la vacanza

E’ il sipario abbassato in un saggio di danza

Sono i nove mesi in cui cresce il pancione

I curriculum inviati nella disoccupazione

I minuti di recupero prima di una vittoria

Il discorso di laurea che precede la baldoria

La trepidazione dei bimbi la Vigilia di Natale

La sala d’attesa di un ospedale

Il professore che scorre il registro

I risultati elettorali del primo ministro

La pancia che brontola all’ora di cena

L’imputato in aula che ascolta la pena

La banchina di una stazione ferroviaria

Il check-in prima di raggiungere l’aria

La purezza ancora intonsa di un nuovo foglio

La domanda del prete per il “Sì, lo voglio”

Le cure mediche su un uomo malato

La carezza dinnanzi a un bacio appassionato

Le valige da riempire per una gita

Il salto di chi vuol farla finita

La mano che estrae il numero vincente

L’anestesia per un’estrazione al dente

Il mese di maggio, miraggio estivo

Il consenso dell’Autorità per un bimbo adottivo

L’attesa è ansia, spasmo, timore,

Ma anche desiderio di un futuro migliore:

È attesa la battuta che precede il sorriso

È attesa la vita che porta al paradiso.

Paola Albani

Primavera 

Intreccio di rami

nubi lontane

in un cielo immaturo di sole,

il lento respiro del fiume

attende

il passo leggero

di un giovane tempo

Inverno 

Lame,

dal cielo dubbioso

sui sassi scivolano,

del sapido pianto di nuvola

la terra gioisce,

si piega l’orizzonte

sopra il riverbero di un’acqua luccicante

che un sole sfinito pugnala

Luna 

Strappo sottile nel nero setoso

logoro panno bagnato di luce

passa,

caduca e giovane

nella notte vorace

di sogni incompiuti

Patrizia Acerboni

Pioverna…io

La Grigna mi partorì …
cominciai a correre, correre
verso un lago assai lontano.
Giù, giù
a balzi e saltelli …
scivolando in un letto sassoso
mi cullò la Val Piana.
Son desta, mi dissi
e ricominciai
a balzi e saltelli …
giù, giù, sempre più giù
riposandomi un poco
in qualche amica bolla.
Ignoranza mi colse

ch’io sia arrivata?
Un Orrido balzo
la prova finale.
Giù, giù …
olmi e frassini a sorvegliar quella gola
strapazzata dalle rocce
spumeggiando esausta
scivolai di nuovo.
Tenero abbraccio mi destò …
il Lario
e fummo amici per l’eternità.

Qui  si  celebra  ‘La Pioverna’  –  torrente al femminile  –  come già fece, secoli or sono,

Sigismondo Boldoni (Bellano,1597 – 1630), verseggiatore.

Nel Canto IX – ottava 86 dell’opera  ‘La Caduta dei Longobardi’  si trovano dei versi in

proposito.

Nasce dalla  Grigna  Settentrionale, attraversa  la  Valsassina  da  Pasturo a  Taceno,

precipita  a valle formando le suggestive cascate dell’ Orrido di Bellano  immettendosi

poi nel Lago di Como, il Lario.

Amore, dolce veleno

Amore, dolce veleno …

si insinua ovunque, ti scuote le membra

ti solleva l’anima fino a toccare le stelle lontane

ti sprofonda nell’oblio fatto d’immenso …

Amore, dolce veleno …

mai stanco, ti abbraccia

ti ridona il respiro a lungo sospeso

ti riporta alla vita appesa a un filo …

Apri gli occhi velati, straniti

attraversati da mondi lontani …

e vuoi ancora

anche solo una goccia di quel dolce veleno.

Pensieri d’amore

Sfavillio di lucciole sulla sponda lontana …

                                          mille fiammelle ne infiammano i cuori.

                                          Luminosi puntini lassù …

                                          brillano gli occhi miei nell’incrociar lo sguardo.

                                          Candida scia d’aereo …

                                          bacio sfumato sulle labbra tue infuocate.

                                          Fluttuan due cigni sul lago inchiostrato …

                                          amanti noi nell’atto più bello.

La rosa del cotonificio 

Oh gente, com’è brutto invecchiare!

Esco a far la spesa e quando sono lì,davanti al macellaio,

non mi ricordo cosa devo comperare.

Da ragazza lavoravo al Cotonifi cio,

andavo avanti e indietro da Fiumelatte a Bellano

con un pezzo di bicicletta che mi aveva messo insieme

il mio papà …

e adesso perché faccio il caff è senza metterci l’acqua?

Guardo il mio Gino addormentato sul divano,

e mi viene in mente il giorno che ci siamo scambiati il primo bacio

sul portone del Cotonifi cio …

come faccio a dimenticarmi di comperare il pane?

Ho messo al mondo quattro ragazze

il Cotonifi cio era ormai lontano;

il Gino cercava il maschio …

mi ricordo per fi lo e per segno ogni virgola di quei momenti

e la faccia pallida di mio marito che diceva:

sarà per la prossima volta …

come faccio a lasciare acceso il gas?

Mia fi glia maggiore mi ha portato dallo specialista,

mi ha guardata di sotto e di sopra, di qua e di là;

alla fi ne ha detto che ho … boh una parola

tedesca che mi ricordo solo che comincia con la A.

Adesso son qui davanti al Cotonifi cio

ma di telai, aspi e balle neanche l’ombra,

non un operaio o il portinaio per domandare,

solo quattro ragazzi che giocano al pallone…

e adesso come farò senza la mia bicicletta?

La rosa del coton 

Oh gent, cumè l’è brut vegniì vecc!

Vo foo a fa la spesa e quant so lì, denanz al macelar,

me regordi minga se g’ho de crompà.

De tosa lauravi al Coton,

andavi innanz e indree de Fumlacc a Belan

con un tocch de bicicleta che ‘ l mera metuu insem

el me papà…

e adess perché foo el cafè senza meteg l’acqua?

Vardi el me Ginu indormentaa sul divan,

e me ve in ment el dì che s’em scambià el prim basin

sul porton del Coton…

coma foo a desmentegas de cromprà el pan?

Ho metuu al mont quater tosan

el Coton l’era ormai lontan;

el Ginu el cercava el mascc …

me regordi per fi l e per segn ogni virgola di chi mument

e la facia smorta del me om ch’el diseva :

la sarà per la prosima volta…

coma foo a lasà pizz el gas?

La mia tosa magiora l’ha m’ha menà dal specialista,

el m’ha vardà de sot e de sora, in scià e in là;

ala fi n de la fera l’ha di che g’ho … boh una parola

tudesca che me regordi doma che la comenza con la A.

Adess so chi denanz al Coton

ma de telar, aspi e ball gnanca l’ombria,

minga un operari o ’l portinar de domandac,

doma quater fi oo che giuga al balon…

e adess ‘me faroo senza la mia bicicleta?